“Non si nasce per restare fermi”: l’arte di cambiare se stesse e il mondo secondo Martina Morrocchi

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“Non si nasce per restare fermi”: l’arte di cambiare se stesse e il mondo secondo Martina Morrocchi

“Non si nasce per restare fermi”: l’arte di cambiare se stesse e il mondo secondo Martina Morrocchi

Un messaggio di speranza alle giovani donne in un mondo che spesso pone sfide complesse sul loro cammino. È quello che vuole mandare Martina Morrocchi, direttrice e curatrice teatrale, nata nel 1989 nella valle del Chianti, ma che ha fatto (e sta facendo) le sue fortune in Cina, prima a Shenzhen e ora a Beijing. Quella di Morrocchi è infatti la storia di una donna con una forza straordinaria. Una donna che ha inseguito i propri sogni per dimostrare a tutte le altre che una possibilità esiste. Che ogni donna porta dentro di sé un potere trasformativo.

Ed è proprio quel potere che Morrocchi, dopo la laurea all'Accademia Internazionale di teatro di Roma, ha portato nel paese asiatico, dove nel 2015, ha fondato Mamonahi, un'associazione teatrale che abbraccia stili e arti miste: teatro, danza, arti plastiche, arti visive, musica. Mamonahi è il risultato degli influssi di molte civiltà, asiatiche ed europee, e che ha fatto dell'inclusione e della diffusione delle culture il valore aggiunto del suo operato. Partendo da una comunità internazionale come quella di Pechino, Mamonahi ha utilizzato il teatro per incentivare i ragazzi ad una flessibilità creativa, ad una dinamicità espressiva e soprattutto ad avere fiducia di se stessi, avere voglia di imparare, guardare e sperimentare costantemente, in collaborazione con altri eutilizzando il gioco e le arti performative come metodo di apprendimento.

E per capire le principali differenze tra teatro in Cina e in Italia, come sono percepite le rappresentazioni teatrali a tema Lgbt+ nel paese asiatico e come fermerebbe l'inquinamento grazie alla sua opera “The gray life“, tra una spettacolo e l'altro, abbiamo intervistato proprio Martina Morrocchi che ha anche voluto mandare un messaggio a tutte le donne che non si mettono in gioco per paura di fallire.

L'associazione teatrale Mamonahi

Morrocchi partiamo da Mamonahi, questa associazione teatrale nata nel 2015 che incentiva i ragazzi ad avere fiducia in se stessi e che non lascia indietro nessuno. Ce la racconti.

“Mamonahi, anche se poi l'ho messa in pratica a Pechino, nasce come sogno quando già ero a Roma all'Accademia Internazionale di Teatro perché spesso il teatro non è una cosa vicina a tutti, rimane un pochino di élite. Quindi inizia come sogno perché volevo che si avvicinasse alle persone. Un po' come nacque il vecchio teatro, ovvero per tutti. Sia che potevano farlo tutti sia che tutti potevano vederlo. Ma allo stesso tempo che aiutasse le persone a conoscersi meglio. Perché comunque la cosa che ho notato è che attraverso le arti performative una persona riesce a conoscersi meglio. Perché devi avere pazienza, ascolto, hai a che fare con gli altri e quindi sei molto nel presente. Inoltre, le persone si apprezzano meglio perché spesso nella nostra società la gente sta andando sempre più in depressione, in crisi, ma non perché abbiamo chissà che trascorsi ma semplicemente perché non si danno il tempo di conoscersi, di amarsi, di capire e di accettare che la vita è così. Nella nostra società invece si tende a fare delle comparazioni. È una cosa di tutti i giorni. Io con Mamonahi iniziai a fare dei workshop dove invitavo chiunque, non dovevano essere per forza professionisti. Dopodiché iniziai a fare degli spettacoli con queste persone. E la cosa divertente è che spesso mi accorgevo che le persone che avevano più passione, più amore, erano proprio queste e non gli attori veri e propri“.

L'ultimo spettacolo, forse il più inclusivo, è quello che ha fatto pochi giorni fa all'ambasciata europea per la celebrazione dei 50 anni di relazioni internazionali tra Europa e Cina

“L'ambasciata europea di Pechino ha chiesto a me di fare lo spettacolo. Le loro esigenze erano di fare uno spettacolo fusion che includesse Europa e Cina. E l'ho composto a 360 gradi perché comprendeva strumenti occidentali (violoncello, pianoforte e cajon) e strumenti cinesi (pipa e erhu). Poi avevamo ballerini cinesi ed europei tra cui Elisa Capecchi, Elia Camiscioli e cantanti d’opera come l'italiana Silvia Colombini. Ho composto questo spettacolo ricercando le opere europee più famose come il “Don Carlo“ che apre e chiude i dialoghi, il “Flauto Magico“, e poi abbiamo usato un detto francese e in più abbiamo introdotto i chengyu, i modi di dire cinesi. L’apertura dello spettacolo è stata “Là su i monti dell’Est“ di Puccini. La chiusura è stata un duetto di violino ed erhu. Poi di nuovo il canto e una chiusura ad hoc dove si pronunciava la parola amico in varie lingue. Perché dato che il tema principale dello spettacolo era l'unione tra Europa e Cina ho usato come metafora l'amicizia. La storia base dello spettacolo era che due vecchi amici si incontravano dopo tanto tempo e condividevano nel primo dialogo quanto erano contenti e le cose che avevano trascorso insieme. Nel secondo dialogo l'importanza dell'amicizia. Infine, nel terzo si promettevano questo legame per sempre“.

Le differenze tra teatro in Cina e in Italia

Parliamo delle principali differenze tra teatro in Cina e in Italia. Ad esempio, durante i vostri spettacoli i cellulari e qualsiasi altro dispositivo sono severamente vietati. Nel nostro paese sarebbe possibile riuscire a replicare una cosa del genere visto che l'80% degli italiani possiede uno smartphone?

“Secondo me sarebbe possibile perché comunque anche in Cina è difficile. Per fare questo ho dei fotografi che fanno video e foto. Poi le persone uscendo hanno la possibilità di scannerizzare il qrcode e prendere tutto il materiale. Quindi offro la possibilità di tornare a casa con qualcosa. Ai miei spettacoli lo vieto non perché sono contraria e basta, ma perché se te stai a filmare non ti godi al 100% quello che stai vivendo. Le mie rappresentazioni, di solito, sono molto emotive e trattano di temi del popolo. Quindi se stai a fare foto alla fine tutte le emozioni che lo spettacolo ti dovrebbe dare non te le dà perché te avevi la testa sul cellulare. Non avevi la testa libera e il corpo aperto per sentire le emozioni. Quindi sì è fattibile. È che in Europa, non solo in Italia, c'è un problema: tutti siamo troppo diplomatici, politically correct. Non vogliamo imporci e dire questo si fa così. Perché se un direttore dice “venite allo spettacolo e non fate le foto“, la gente o l'accetta o non compra il biglietto. La cosa che mi fa tanta rabbia del nostro paese è che le persone dicono “vabbè lo fanno tutti“. Credo che da noi in Italia siamo diventati un po' molli come popolo“.

Arriviamo a “A world to change“, un workshop intensivo sull'uguaglianza tra uomini e donne. Anche in Cina le donne occupano ruoli meno retribuiti o informali?

“Le donne in Cina ricoprono ruoli molto importanti e sono ben pagate. C'è molta meno disuguaglianza. Non c'è stata la rivoluzione della donna ma quella del Governo. È il Governo che ha deciso di mettere le donne in parità agli uomini. Ci sono tante donne che ricoprono cariche importanti. Non c'è discriminazione“.

Comunità Lgbt+ e inquinamento

Lo spettacolo “Queen of the night“ parla del tema Lgbt+. In Italia abbiamo la presenza di associazioni (arcigay, famiglie arcobaleno) e i pride si svolgono in città. In Cina l'attivismo Lgbt+ è limitato e i pride pubblici sono inesistenti. Quanto è stato difficile mettere in scena una rappresentazione del genere nella nazione asiatica?

“La Cina è un po' particolare perché si dice che non si può ma alla fine si può fare tutto. Ad esempio, a Pechino è pieno di discoteche gay. La cosa che è diversa in Cina è che lo devi fare in maniera un po' più fine. La difficoltà principale nello spettacolo è stata quella di aggiustarlo per il pubblico cinese perché alla fine si tratta uno spettacolo americano dove di limiti ce ne sono pochi. Il pubblico cinese è un pubblico un pochino riservato. Gli va bene vedere tutto, ma alla fine sono timidi. Ad esempio, c'era questa scena particolare di un attore affascinante che doveva prendere una moglie e chiudersi dentro una stanza. Una cosa del genere, anche se poi non fanno nulla, in Cina non la puoi fare. Ma non perché è vietato, ma per un discorso di rispetto. Servono delle accortezze. Ci sono dei modi di fare che vanno seguiti. Non è tanto di limiti per quello che non si può fare, ma per il fatto di far sentire il pubblico comodo“.

“The gray life“ tratta invece dell'inquinamento. Che messaggio ha voluto mandare, visto la drammatica situazione ambientale che sta colpendo il nostro mondo?

“Purtroppo tutti tendono a puntare il dito verso il Governo piuttosto che verso le aziende petrolifere. Ma alla fine anche noi siamo la causa. Siamo i primi ad andare a fare shopping, a comprare il cellulare anche se quello che abbiamo è funzionante. Lo spettacolo vuole parlare del fatto che un po' tutto il mondo è paese. Tutti siamo passati dal contaminare all'essere contaminati. Dall'Europa all'America, alla Cina all’India. Non c’è nessuno escluso. È solo che ci piace dire “ma voi ora“. Sì, noi prima, gli altri prima ancora e qualcun altro domani. E poi soprattutto perché ora la Cina? Perché all'Europa conviene che sia la Cina a inquinare perché è più economico produrre e la manodopera costa meno. “The Gray Life“ vuole far vedere tutto. Sia l'inquinamento che noi emettiamo a causa nostra perché siamo tutti consumisti, ma vuole anche parlare della depressione delle persone. Della nostra incoscienza, della nostra ignoranza. E un po' tutto collegato perché nel fatto di essere vittime e carnefici, noi siamo tanto ignoranti. Il fatto di non voler ammettere, di non voler vedere fa parte dell'ignoranza. Che poi dopo sfocia in depressione in alcuni casi, in rabbia in altri. Nello spettacolo alla fine si tratta delle emozioni perché poi quando soffri di depressione come reagisci? Puoi reagire con la rabbia, con l'ansia, con la chiusura e poi dopo magari ti riapri. Ma prima devi passare dall'accettazione. Se non passi da quest'ultima non fiorisci. L'inquinamento è stato di ispirazione per me perché è una grande bugia del mondo“.

C'è qualche spettacolo fatto in Cina che sarebbe visto di cattivo gusto in Italia?

“Cattivo gusto direi di no. I cinesi non sono persone volgari, non farebbero mai una cosa offensiva. Loro vengono dal confucianesimo secondo il quale bisogna seguire l'equilibrio della società e rispettare l'altro. Quindi no, non sarebbe visto male, ma non sarebbe capito. Tempo fa sono andata a vedere uno spettacolo di una cantante dove nel mezzo ci ha messo di tutto fino ad arrivare alla discoteca techno rave. Cosa che in Italia sicuramente non sarebbe stata possibile. In Cina c'è una libertà artistica incredibile. Mentre da noi c'è il concetto di classe, di arte e quindi uno non si da il via libera ad esprimersi. Questa è la differenza che vedo tra l'arte europea e quella cinese“.

Il messaggio per tutte le donne

Ha fatto la sua fortuna in Cina. Che cosa direbbe alle donne che in Italia non si mettono in gioco per paura di fallire?

“In primis direi di non mollare mai e di credere in loro stesse. Purtroppo, quando le persone ti dicono che non ce la farai è perché riflettono le loro paure. Magari sono stati proprio loro a mollare, a non provare, ad avere delle delusioni e non stati in grado di andare avanti, a superare una sconfitta. Direi di continuare e di credere in loro stesse. Soprattutto perché credo che quando uno ha una sensazione, un amore e lo fa con il cuore e con la passione non può non andare bene. Magari non ti va bene domani, però tra un po' sì. È solo un fatto di trovare il metodo, la tecnica e la tua nicchia. Io ho dovuto trovare la mia nicchia perché chiaramente fare teatro in Cina da parte di un'italiana non è così scontato. Uno si deve creare il suo nucleo. E poi credo che uno non si debba sentire legato al posto dove è nato. Siamo tutti cittadini del mondo. Che da un lato è un contro, dall'altro un pro. A me da un lato chiaramente dispiace di non poter fare le mie cose in Italia. Però se dall’altra parte del mondo apprezzano quello che faccio perché no. Magari poi sarò destinata a portare qualcosa nel nostro paese che riuscirà a migliorarlo perché in Cina ho imparato tanto. Cosa che magari quando torno in Italia sento il culture shock all'incontrario. In definitiva credo la parola d'ordine sia non mollare mai“.

Luce

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